Di bisessualità, charango e vagine: intervista a Monique Mizrahi

Monique Mizrahi – in arte Honeybird – è nata a Los Angeles, ha vissuto a Roma per 14 anni e attualmente vive a Brooklyn, New York.

È polistrumentista e attivista LGBT, in particolare con il movimento bisessuale (con il quale si identifica). Come Honeybird si è esibita in tutta Europa e a maggio 2015 ha pubblicato l’album Out comes woman, in cui racconta l’esperienza del suo coming out. Il 5 marzo 2016 ha suonato presso il Museo d’Arte di Brooklyn e nello stesso mese ha pubblicato l’ep W/M.

Abbiamo potuto conoscerla durante il tour italiano della sua band, gli Honeybird and the Monas. Approfittando della tappa veneta del tour, il Collettivo Starfish assieme al Circolo Tondelli Bassano ha chiesto a Monique di tenere un incontro/workshop sulle recenti dinamiche del movimento bisessuale negli Stati Uniti e in Italia, paese che Monique conosce molto bene.

Quella che segue è una breve intervista.

Il tuo album Out comes women parla di coming out e di bisessualità con grande semplicità e allegria. In mezzo a un mare di narrazioni standardizzate che prevedono che il coming out sia pesante e tragico, tu rappresenti un barlume di ottimismo e positività. Puoi riassumerci l’esperienza del tuo album?

Ci tengo a questo approccio positivo. Quando ero piccola mi sentivo diversa, mi piacevano anche le ragazze e questa cosa mi faceva soffrire molto. La prima ragazza di cui mi sono innamorata era la mia migliore amica, ma dopo che ci siamo baciate lei ha iniziato a odiarmi e la nostra amicizia è finita. Ho associato il mio orientamento sessuale a qualcosa di sbagliato e questa negatività me la sono portata dietro per tanti anni.

Non dimentichiamo che stiamo parlando di relazioni, di amore, di cercare di vivere nel migliore dei modi in questo mondo pieno di sfide e di cose brutte, tra cui appunto l’omofobia. cercare di trattare questi argomenti in maniera semplice e positiva è essenziale per me. Da quando ho deciso di fare coming out ho scelto di affrontare la cosa nella maniera più onesta possibile, cercando di portarne tutto il bello. Questo mi è stato possibile grazie alla musica, non so come avrei fatto a comunicare altrimenti. Suonare mi ha aiutato a fare coming out. Stare su un palco e dire “io sono bisessuale” mi ha aiutata tantissimo, toccare queste tematiche nella mia arte mi ha portata poi a parlarne nel quotidiano.

Nella tua canzone dici You put the B in LGBT. È fondamentale che il discorso sulla bisessualità non sia percepita come confusione.

È vero, molte volte si pensa che essere bisessuali sia equivalente di confusione, oppure che per forza sia necessario stare esattamente al 50% con le donne e al 50% con gli uomini. Non è così.

Si tratta di un orientamento sessuale: mi piacciono le donne, gli uomini, e tutto quello che ci sta di mezzo. Mi piace pensare a “bisessuale” come un termine-ombrello che racchiude dentro le diverse sfaccettature, le fluidità dell’orientamento, il queerness che la nostra società eteronormativa non riesce ad accettare.

Hai vissuto in Italia per 14 anni, a Roma, ma conosci anche la piccola provincia del nord-est visto che i tuoi colleghi musicisti provengono da qui. Ora invece vivi a New York. Che differenze vedi tra l’Italia e gli U.S.A.?

Non so se sarei riuscita a fare il mio coming out a Roma. Mi sentivo sola e sentivo il peso della Chiesa e dell’omofobia. La mia ragazza dell’epoca, che era di Roma, non si sentiva a suo agio se camminavamo per strada mano nella mano. Questo è uno dei motivi per cui non mi sono avvicinata molto alle associazioni LGBTQI italiane. Mi sentivo distante da loro, e poi volevo fare la mia strada nella musica.

A Roma non avevo alcun tipo di dialogo su queste tematiche, nemmeno con i miei amici e le mie amiche lesbiche e gay. Si parlava, ma ci si scherzava su: io stessa scherzavo sul mio orientamento senza prendermi troppo sul serio.

Andare a vivere a New York mi ha aperto la mente. Ho iniziato a frequentare le associazioni LGBTQ e ho iniziato a raccontarmi, a parlare della mia storia, ma soprattutto ad ascoltare le storie degli altri. Questo è stato interessantissimo e importantissimo per me.

A New York sono riuscita a prendermi sul serio, a parlare di me stessa, a dare valore alla mia esperienza.

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Hai anche partecipato anche al progetto Le cose cambiano, contro il bullismo e l’omofobia.

È un progetto che mi è stato molto utile, uno dei pochi progetti a cui ho partecipato qui in Italia. Mi ha dato l’opportunità di raccontare la mia storia e penso sia molto utile soprattutto per i ragazzi e le ragazze più giovani.

Nonostante con la mia musica io tenti di parlare il più possibile in termini allegri dell’esperienza LGBT, sono consapevole che per molte ragazze e ragazzi questa esperienza non è sempre positiva. Non sentirsi accettati e soprattutto il sentirsi soli, isolati, è la peggiore sensazione. In una delle mie canzoni canto Come out, I won’t love you less, ma ci vuole coraggio.

Nelle tue canzoni canti e celebri la mona (per i non veneti: la vagina). Io di questo ti ringrazio perché mona da queste parti è un insulto. Tu invece la canti e la celebri in modo molto divertente e orgoglioso.

All’inizio non avevo capito cosa significasse mona. Sentivo che qualcuno veniva insultato in questo modo e faceva ridere tutti. Poi ho capito che mona significava vagina e che si usava per dare del deficiente a qualcuno. Mi sono chiesta perché, non mi faceva ridere, trovavo assurdo che la vagina fosse associata all’essere deficienti!

Io credo che le donne abbiano un potere non indifferente e voglio celebrare questo potere. Sul palco e con la mia band (composta da Gigi Funcis e Gioele Pagliaccia, n.d.r.) parlo spesso di mona, di sesso, di tematiche LGBTQ. Mi piace pensare che anche grazie al nostro nome riusciamo a innescare una discussione allegra su questi temi. Guarda per esempio le mestruazioni: c’è un idea di schifo legata al ciclo mestruale che trovo vergognosa. Invece io voglio valorizzare questi aspetti della femminilità, voglio parlarne!

Per me è molto importante parlare di corpo, della vergogna spesso connessa con la propria vagina. Io per prima ho respinto la mia femminilità per molto tempo, senza rendermi conto che era la mia forza.

Ai miei concerti moltissime donne vengono a parlarmi e a condividere esperienze e idee, e questa è la mia forma di militanza. Tramite la mia musica riesco a parlare di queste cose.

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