La manifestazione “NON UNA DI MENO”, svoltasi a Roma il 26 novembre scorso, ha ribadito che la violenza di genere si articola in varie forme, legate alle dinamiche dello sfruttamento lavorativo, alla mancanza di norme adeguate per la salute riproduttiva e sessuale delle donne e a un sistema di comunicazione sempre più penalizzante per le donne e per la comunità LGBTQI.
L’eccezionale partecipazione a quella giornata e i molti movimenti che stanno prendendo piede a livello internazionale ci ricordano quanto queste tematiche siano fondamentali e come la risoluzione delle questioni ad esse legate debba essere posta come obiettivo a breve termine.
Purtroppo però le risposte istituzionali a problemi decisamente urgenti come quelli sopracitati sono tardive, o insufficienti, o del tutto inesistenti: da parte delle istituzioni si riscontrano solo rare e deboli prese di posizione non supportate da alcuna riflessione approfondita sui temi del welfare, del corpo delle donne e della discriminazione di genere.
Quando si parla di violenza di genere spesso immaginiamo le dinamiche sensazionaliste dei titoli dei giornali, ma questi sono solo i risultati più eclatanti di una diffusa indifferenza verso tutte le dinamiche che portano a questo: primo fra tutti, il lavoro precario, le cui vittime sono spesso le fasce più deboli economicamente e socialmente. È necessaria una maggiore tutela delle donne precarie, delle donne migranti – spesso relegate a lavori di cura sottopagati o in nero -, perché dalla violenza si esce solo con l’autonomia, e un reddito dignitoso e sicuro è il primo passo verso l’autodeterminazione.
▲ Ribadiamo l’importanza dei CENTRI ANTIVIOLENZA e degli sportelli che si occupano di aiutare le donne in situazioni di difficoltà, luoghi di pratica femminista che da anni sono gli unici ad aver acquisito competenze e capacità specifiche per occuparsi di queste problematiche: molti di essi, in Italia, hanno chiuso o subìto tagli importanti tali da mettere a rischio la gestione di questi luoghi, indispensabili per il contrasto alla violenza. Mancano inoltre i fondi indispensabili per sostenere percorsi di fuoriuscita dalla violenza, essenziali perché le donne recuperino la loro autonomia e la possibilità di autodeterminarsi.
▲ Pensiamo che la scuola pubblica debba prevenire e contrastare la violenza di genere, diventando uno snodo fondamentale dell’EDUCAZIONE SESSUALE E AFFETTIVA, dall’asilo fino all’università, perché la violenza si combatte con la cultura e non con un semplice inasprimento delle pene.
▲ Difendiamo la legge 194 e il diritto della donna a DECIDERE DELLA PROPRIA SALUTE SESSUALE E RIPRODUTTIVA. Auspichiamo la diffusione della Ru486 e ne chiediamo il pieno accesso, insieme all’abolizione dell’obiezione di coscienza, che in alcune regioni d’Italia tocca il 93% del personale medico, impedendo di fatto alle donne l’accesso a un’interruzione di gravidanza sicura e gratuita.
▲ Pretendiamo infine, da parte di giornali e media, un LINGUAGGIO INCLUSIVO e rappresentativo di tutte le donne, incluse le donne transgender. Lavorare sul linguaggio è importante, è il sintomo di una società che si adegua alla complessità del presente, perché la dignità inizia prima di tutto da una narrazione corretta e rispettosa delle persone.
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NON UNA DI MENO!
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